Un Natale avvolto in fasce

di Stefano, Cuneo
Natale: avvolto in fasceQuando Francesco venne eletto Papa, iniziò la messa di inaugurazione del Pontificato con una frase: «Non abbiate paura della tenerezza».

Oggi, a quasi nove anni di distanza da quel giorno, queste parole ci suonano come un monito, quantomai attuale e profetico. Perché in questo tempo così complesso, segnato da una pandemia virale e di relazioni, la tenerezza fa paura. Fa paura perché rievoca i momenti belli del passato, così lontani dal presente, quando l’altro non era un potenziale nemico da tenere a distanza, ma un nuovo fratello da abbracciare. Fa paura perché ci porta verso chi è più solo, più fragile, chiamandoci ad essere responsabili delle sue necessità. Fa paura perché siamo ormai immersi in una società in cui il tenero è sinonimo di debolezza, di derisione, e perseverare nella tenerezza significa spesso dover accettare continui attacchi da chi non comprende la profondità di certe scelte.
In questo scenario, entra il Natale.
Il mondo, quest’anno, rischia di non accorgersene. Travolti dai numeri della pandemia, dall’incertezza di possibili positività, quasi nessuno si sta rendendo conto che… l’Avvento è finito. Ma l’atteggiamento di tante persone sembra quasi desiderare, di non accorgersi del Natale.
Perché cosa c’è di più tenero di un bambino che dorme? Cosa c’è di più tenero, dello sguardo materno di sua madre? Cosa c’è di più tenero del silenzio in cui è immersa quella scena, nella nostra testa?
E la tenerezza spaventa, perché ci mette davanti una realtà così grande da farci sentire inadeguati, non all’altezza di quell’Amore così straordinariamente immenso da diventare concreto, carne.
Far passare inosservato il Natale significa evitare di confrontarsi con l’assoluto, di sentirsi in ritardo, di fissare negli occhi quel bambino ammettendo di non essere pronti ad accoglierlo. Ammettendo di essere stati anche noi, tra quelli che l’hanno relegato in una stalla. Ma il Natale arriva, e ci parla. Tocca a noi, darci il tempo di ascoltarlo.
Ci siamo interrogati tanto, durante il Ritiro spirituale alla Sorgente, per capire cosa ci stia dicendo, oggi, il Vangelo della natività. Quale sia il nostro ruolo nel presepe, quali personaggi sentiamo più vicini a noi in questo tempo. Ci siamo scoperti pastori, persone lontane dalla logica regnante della società, ma chiamate per prime a visitare il Salvatore. Ci siamo sentiti mangiatoie, custodi di una fede che ci è stata donata e che oggi siamo chiamati a proteggere e testimoniare. Ci siamo sentiti fasce, cristiani che rischiano di avvolgere Gesù vincolandone i movimenti, non lasciandolo muovere e agire dentro di noi.
Ci siamo accorti che Gesù bambino piange. Piange per svegliarci, per attirare la nostra attenzione, piange perché stretto in quelle fasce che gli impediscono di andare per il mondo, che lo rallentano. Piange anche per noi, per darci l’esempio e ricordarci che l’umanità non è fatta per chiudersi in sé stessa.
Ci siamo accorti anche di Maria, che assiste alla scena in silenzio, meditando nel segreto tutto quello che è successo. Ci ricorda l’importanza dell’intimità, del tenere per noi le gioie più profonde condividendole solo con chi abbiamo a cuore, senza sprecarle.
Grazie al tempo di silenzio che la Sorgente ci ha offerto, la tenerezza del Natale ci fa un po’ meno paura, e ci chiama ad accorgerci di come spesso siamo noi stessi ad impedire alla nostra fede di essere manifestata, dichiarata, testimoniata.
Che possa essere un Natale avvolto in fasce, affinché le grida di quel bambino così speciale ci sveglino dal nostro torpore per portare nella quotidianità il messaggio di cui oggi c’è tanto bisogno: «Non abbiate paura della tenerezza».

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