Uniti alla vite

suor Patrizia Graziosi
Rimanete uniti a me, come il tralcio alla viteUnitevi a Gesù come il tralcio al ceppo; infatti egli dice di essere la vite e noi i pampini ed i tralci”: così invita padre Médaille in una massima (XIV, 6).

E prega: “Affinché io viva soltanto in te e per te fa’, o Gesù, che io mi unisca a te come il tralcio al ceppo” (EC I, III). L’immagine della vite, tratta dal Vangelo di Giovanni, richiama subito la vastità dei vigneti che si estendono in filari ordinati, evoca l’aria aperta, il vento, ciò che nasce e produce frutto: è il miracolo della vita. E la vita viene dall’essere uniti a Gesù (EC III) in un sorta di innesto: noi siamo rami, per qualche misura selvatici, innestati con il Battesimo alla vite che ha la pienezza del rigoglio… Dobbiamo essere uomini e donne degli innesti anche nella chiesa, chiamati non a custodire un museo, ma a coltivare un giardino! E la cosa che ci dovrebbe preoccupare più dell’invecchiare negli anni, è quella di divenire rami secchi, è l’inaridirsi, il rinsecchirsi, l’ammuffire nello Spirito” (A. Casati).
Giovanni, nel suo Vangelo, esprime la realtà dell’unione con un verbo ricorrente: “rimanere” (ménein), che non è solo dimorare in una specie di intimità che rende simili, ma significa essere “come vasi comunicanti” in e con Gesù per vivere così nella sua stessa vita.
Padre Médaille esorta, infatti, a “rivestirsi” dei sentimenti e delle motivazioni di Cristo (MP II, 7) “in modo da poter dire con san Paolo: Vivo, ma non sono più io che vivo, è Gesù Cristo che vive in me” (MP II, 4). In altre parole: Gesù sia il vostro respiro, il vostro desiderio, la vostra volontà, il vostro amore, la vostra vita. E, allora, “rimanente in me”: state innestati in me come i tralci alla vite oggi, nella situazione che state vivendo, mentre siete sul lavoro o in casa tra i vostri affetti; al centro commerciale, in parrocchia, nella penombra di una chiesa; quando vi sentite stanchi e un po’ delusi nei progetti, nei sogni. Oggi “rimaniamo in lui”, perché Cristo non vive altrove, ma nella nostra vita; perché il seme della Parola è gettato e cresce in un terreno ben preciso, il nostro.

Dall’Opuscolo di formazione 2024, pag. 21-22

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